Nell’ultimo periodo i i titoli della maggiori testate giornalistiche e i dibattiti politici in televisione ruotano intorno alla parola Brexit, ovvero la possibile uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Premetto che il temine non è di mio gradimento. Ogni volta che lo sento, per associazione mentale, penso a un nuovo tipo di formaggio francese.
L’anno scorso una mia cara amica polacca, mi parlò di una conversazione avvenuta col suo datore di lavoro, durante la quale le consigliò di affrettarsi a richiedere la cittadinanza britanica. Le sue parole furono: “L’attuale situazione politica è sempre meno rosea per gli immigrati e presto dovranno pagare anche per accedere al sistema sanitario. Se usciamo dall’Unione Europea, tanto vale tornarsene a casa”.
All’epoca pensai che entrambe avessero una visione catastrofica della situazione. Mi chiesi: “Com’è possibile che il Regno Unito voglia fare venti passi indietro nella storia, invece di progredire?.
Il “Brexit” è invece diventato realtà o, per lo meno, i sudditi di Sua Maestà avranno il diritto di esprimere la loro opinione in merito, attraverso il Referendum di giugno.
I giornali strabordano di stime e tassi che esprimono l’impatto che una tale decisione avra’ sull’economia britannica. Illustri esperti passano il tempo in televisione, parlando di numeri e tabelle. Ognuno con opinioni diverse, ma con un denominatore comune: risultare incomprensibili a tutti coloro che non possiedono una laurea in Economia.
L’idea che mi sono fatta e’ che l’ipotetica uscita dall’Unione Europea comporterebbe molta incertezza. Non serve essere un esperto per capire che se ciò avvenisse, la Gran Bretagna dovrebbe avere già in cantiere un piano d’azione, ad efficacia immediata. La mancanza di tale piano, manderebbe a gambe all’aria l’intero paese e forse, anche la Regina.
È vero che gli inglesi sono sempre stati orgogliosi della propria storia e tradizioni, cercando di distanziarsi dall’Europa. Un conto è rifiutare il sistema metrico decimale e la guida sulla destra, un altro è isolarsi dal resto del continente.
Personalmente, preferisco essere una straniera all’interno dell’Unione Europea. Più volte ho avuto conversazioni con amici inglesi sull’inefficienza del loro sistema sanitario. Per non offendere nessuno, ho sempre premesso di “essere grata di potervi accedere gratuitamente, anche da straniera”. La loro risposta è stata: “Ne hai diritto quanto noi, in quanto l’Italia fa parte dell’Unione Europea”.
Per questo, l’UE mi fa sentire meno straniera, quasi mi garantisse un terreno comune su cui porre le fondamenta della mia vita all’estero. Farne parte, significa essere protetti da leggi e accordi che anche i politici italiani hanno legiferato.
Un certo grado di flessibilità dei confini, si spera abbia portato ad una maggiore accetazione dei movimenti di persone all’interno dell’Unione. Sarà questo ancora possibile se la Gran Bretagna opterà per l’Out? O assisteremo ad un inasprimento dell’atteggiamento nei confronti degli stranieri già residenti in questo paese? Nessuno può prevedere il futuro, ma il rischio c’è.
Rossella Chiodini