A soli 23 anni Filippo lavora come cuoco – o meglio come chef d’élite – a Londra. Ecco come ce l’ha fatta…
Migliorare le prospettive di un futuro migliore, investendo su se stessi, è la cosa più intelligente che possiamo fare. Ci sono persone che si accontentano di quello che hanno, del lavoro che fanno e sono felici tutta la vita. Ci sono persone che lo sono state per anni e a trenta, quarant’anni, delusi delle continue illusioni e dei perseveranti sbalzi d’umore di una politica poco concentrata sulla qualità di vita del cittadino, decidono di cambiare. Investono su se stessi, provano diverse strade, vuoi nel proprio paese, vuoi all’estero, ma se vogliono cambiare davvero, un rimedio lo trovano. Certo, quando si passano i trent’anni in molti dei casi si ha famiglia, un fidanzamento o una situazione familiare, che per diversi motivi potrà impedire di farlo all’estero, ma se si vuole migliorare le proprie aspettative, la prima cosa da fare, è crederci. Non esiste un’età per farlo, ma se si hanno vent’anni è meglio.
L’italiano che abbiamo incontrato a Londra, ha voluto investire su se stesso, è un genovese, si chiama Filippo Marinozzi, ha ventitré anni e da un anno e sei mesi si è trasferito nella metropoli inglese.
Filippo viveva con la famiglia nel quartiere di Genova Borzoli, un quartiere dove tutti si conoscono, dove tutti si frequentano, dove sono molti i giovani che vivono nel precariato, dove, quando decidi di andare via per migliorare le tue aspettative di vita, la mancanza di quel gruppo di amici del quartiere, con cui sei cresciuto e condiviso feste e serate, si fa sentire.
Filippo è giovane, ha l’età giusta per sconfinare i limiti, ha capito che imparare la lingua inglese è fondamentale per aprirsi un ampia prospettiva per un domani e nulla e nessuno lo ha intrattenuto dal farlo.
Ha studiato all’alberghiero e ha qualche esperienza di lavoro in Italia, in una caffetteria con cucina, dove ha imparato a cucinare e messo in pratica i suoi anni di studio. Poi, un giorno, si è voluto mettere in gioco, ha unito la propria professionalità culinaria, alla voglia di imparare la lingua inglese e, non ha dimenticato, di scegliere una metropoli dove il divertimento, le feste, l’allegria e la libertà di vivere senza essere giudicati, sono alla base di tutto, per raggiungere serenamente i propri obbiettivi.
Filippo vive Londra come deve essere vissuta. Ha un sacco di amici, vive la città, i party, le serate con i migliori DJ, non si fa mancare nulle dalla grande offerta della metropoli, ma a Londra, è soprattutto uno chef d’élite, dell’elegante catena Dorchester Hotel. Un posto ambito, dove, oltre a non essere facile arrivare a consegnare al manager il proprio curriculum, è un posto dove la selezione del personale è severa.
Perché hai deciso di partire?
Perché i visi delle persone erano sempre gli stessi, le serate erano sempre le solite, avevo un lavoro, lavoravo da Sestri Caffè, caffetteria e cucina, quindi stavo anche bene, ma cominciavo ad annoiarmi e non vedevo un futuro interessante davanti a me.
Sei partito da solo?
Avevo deciso di partire, stavo per partire da solo, poi, ho sentito la mia amica Giulia che voleva partire anche lei, allora abbiamo deciso di organizzarci insieme. I primi mesi abbiamo anche vissuto insieme, ora io vivo con altri amici di Genova a Mile End, lei vive in un’altra zona, ma ci sentiamo spesso.
Cosa non dimentichi dei tuoi primi giorni a Londra?
Quando siamo rimasti io e Giulia senza stanza in ostello, avevamo finito i giorni prenotati e non avevano altre stanze per la notte, siamo rimasti in giro, con la Overground chiusa. Non conoscevo ancora Londra e mangiando un panino su delle scalette senza sapere dove fossimo, stavamo discutendo di doverci dare da fare assolutamente per trovare casa il giorno dopo, poi, alzando lo sguardo ci siamo accorti di essere sotto il big bang.
Avete dormito per strada?
Fortunatamente poi siamo riusciti a raggiungere un amico a Mile End che ci ha dato un appoggio.
Quando hai trovato casa e come?
Eravamo rimasti in mezzo a una strada, non potevamo pesare su chi ci ospitava, dovevamo risolvere. La mattina dopo ci siamo alzati prestissimo e tramite i vari siti che qui a Londra sono organizzatissimi, ci siamo sbattuti davvero tanto a cercare, abbiamo fatto centinaia di telefonate e visto non so quante case. Però abbiamo risolto, la sera stessa abbiamo trovato una doppia in seconda zona a Bethnal Green, dove abbiamo dormito sul materasso perché non avevamo nemmeno fatto a tempo a comprare le lenzuola. Era tardi, eravamo a pezzi.
E il lavoro quando lo hai trovato?
Praticamente il giorno dopo. Mi sono presentato al Dorchester Hotel 45 Park Lane, per parlare con il manager della cucina, farmi conoscere e presentare il mio curriculum. Ma per me, a differenza di molti, non è stato difficile, avevo un contatto che mi ha aperto la strada.
Basta un contatto per essere assunti in un posto come il tuo?
Beh, no. Il contatto mi è servito solo per arrivare a consegnare un curriculum ed avere la possibiltà di fare una prova. Qui mica ti prendono se non gli vai bene e non sai lavorare, solo perché conosci questo e quest’altro.
Eri gia chef?
Ne venivo da un esperienza di trattoria e caffetteria italiana.
E come hai fatto a farti assumere?
Ci vuole intraprendenza. Mi sono fatto vedere sveglio, con tanta voglia di lavorare e ho passato la selezione, mi hanno scelto tra sei persone. Mi sono messo in gioco, mi sono applicato, ho preso bastonate quando necessario, i primi tempi devi solo pensare al lavoro, non devi pensare ad altro, devi fargli vedere che tu sei uno che si impegna.
Era quello che volevi quando sei arrivato?
Diciamo che questo è il massimo, sotto questo punto di vista sono stato fortunato.
Il tuo stipendio?
Il mio primo era sui 1250 pound mensili, che sono gia molti soprattutto come primo stipendio, adesso sono salito di grado e prendo qualcosa in più.
Cosa non deve mancare ad uno chef che lavora a Londra?
Olio di gomito, dormire sul lavoro, prendersela comoda.
Cosa non piace al boss?
Che non segui le regole. La regola del boss è che tu tenga la cucina in ordine e pulizia come tieni la tua camera. Ordine e disciplina sono le prime regole.
C’è una cosa che non ti piace del tuo lavoro?
Che non c’e cucina italiana.
E una che ti piace?
Mi piace l’incredibile armonia che c’è tra popoli e culture differenti che trovi nel team di lavoro. Era proprio quello che volevo vivere quando ho deciso di venire a Londra. Il mio team in cucina è davvero un miscuglio di razze e popolazioni differenti e andiamo tutti davvero d’accordo, è davvero un gran bel team.
Cosa hai scoperto vivendo a Londra che vuoi consigliare ai nostri lettori di fare attenzione?
Di non credere che gli alimentari dei supermercati con il marchio italiano siano davvero prodotti italiani.
Quali progetti hai per il futuro?
Ora che ho un buon posto di lavoro non vorrei proprio pensare ad altro, vorrei tenermi buono questo, o, se non altro, se proprio dovessi cambiare lo farei solo per un livello pari o superiore, io sono al terzo scalino della scala, sono demì chef, che è molto alto credimi.
Faresti famiglia aLondra?
La domanda dovrebbe esser faresti famiglia..ahha. Non ci ho mai pensato, ma vedo la famiglia italiana molto piu unita e sotto molti aspetti più attenta ai doveri familiari, però, sotto il punto di vista delle aspettative, la città di Londra offre molto di piu alla vita di un bambino, oltre a nascere in un posto dove la lingua inglese sarà la sua lingua, ci sono un sacco di opportunità formative che gli apriranno la strada ad un futuro migliore.
Che consiglio vuoi dare ad un nostro lettore che vorrebbe venire a Londra a fare lo chef?
Tanto prendi il coraggio di prenotare il volo e se sai di essere un bravo chef stai sicuro che prima o poi un buon posto lo trovi. Se sai di essere uno chef un po improvvisato prenditi la responsabilità di sapere che dovrai prendere, all’inizio soprattutto, il primo impiego che trovi.
Cosa non deve dimenticare un italiano prima di partire?
Gli adattatori per la corrente.
Se dovessi tornare indietro sceglieresti sempre londra?
Mah, forse Berlino, prima di partire ero indeciso tra le due.
Perché Berlino?
Perché Berlino, come Londra, sono metropoli che hanno una cultura giovanile molto più avanzata, il divertimento è alla base di tutto la gente si sa divertire, non succede mai nulla di estremo che ti possa rovinare una serata, hanno molto rispetto degli altri. Quello che odiavo dell’Italia è che in ogni festa succedeva che qualcuno si picchiava o che qualcuno rovinava in qualche modo la serata.
La passione di vivere è quella che ho letto negli occhi di Filippo. Eravamo seduti nel divano di casa sua a Mile End, e guardavo i suoi gesti quando mi raccontava la sua esperienza. La tranquillità di non avere una preoccupazione per il suo domani, che giorno dopo giorno si allarga in lucenti orizzonti e la voglia di scoprire e conoscere sempre di più, erano fusi nei suoi movimenti mentre mi raccontava di lui. Nonostante ricopra un ruolo di impegno, fatica, responsabilità e concentrazione, il suo interesse è quello di non perdere occasione per vivere i suoi ventanni e la metropoli, le feste, i party, le serate in giro con gli amici, ma con lo scrupolo di proseguire sempre in meglio nel suo lavoro e magari salire ancora il gradino nella gerarchia della cucina.
Sono molti i giovani che accecati dall’esplosiva mondanità londinese, dimenticano il futuro di se stessi. A Londra è molto facile, sono migliaia le tentazioni, ma per Filippo non è così. E non lo sarà, perché non dimentica l’obiettivo che vuole raggiungere, quel domani non tanto lontano, che gli si apre con qualche certezza in più rispetto alla staticità della sua vita in Italia e con l’insaziabile bisogno di continuare a conoscere una città, fatta di migliaia di culture differenti, dove ognuno ha da insegnargli qualcosa, che non avrebbe mai potuto imparare, se non investendo su se stesso decidendo di partire e l’esperienza che sta vivendo a Londra, rimarrà il tesoro nascosto del suo percorso di vita.
Martino Serra
Buon giorno,mi chiamo Alberto cercavo un impiego per la stagione estiva nella ristorazione