L’open space dell’arte a Londra: l’evoluzione di uno studio tattoo
Quando si pensa a Londra, si materializzano all’istante quei progetti di una vita diversa e guardando il cielo, dalla finestra del proprio ufficio, nel proprio studio, si pensa sempre alle migliaia di idee che ci girano quotidianamente nella testa e di quanto sembra difficile realizzarle in Italia.
Così, seduti nella nostra seggiolina con le ruote, dondoliamo lo schienale e valutiamo l’importanza di avere il lavoro che abbiamo, confrontandolo con gli imprevisti e le probabilità, come facevamo con il Monopoli. Chissà a quanti capita di avere una passione, che come tale si deve mantenere per non affrontare il rischio di mollare il proprio lavoro e trasformare così quel sogno in un incubo.
Londra è la culla di quei sognatori, perché sognare non è sinonimo di ingenuità, ma può esserlo di progresso: il desiderio è in ogni caso evoluzione, per la propria evoluzione si deve investire su di sé e Londra è la patria di chi crede in se stesso.
The White Elephant Studio, è la dimostrazione che a Londra si può investire nell’evoluzione di se stessi, perché a Londra si può fare di più, se si vuole di più.
The White Elephant Studio è la nuova apertura londinese, nel quartiere di Hackney, di un progetto trivalente open space, “galleria d’arte, laboratorio artistico, studio tattoo”: è un concentrato artistico di esposizione d’opere personali e di altri artisti contemporanei della scena londinese, uno studio dove sedersi comodamente a un tavolo a studiare e discutere l’idea per il proprio tatuaggio, una location dove è possibile assistere alla realizzazione del tatuaggio ed un laboratorio creativo dove si possono in contemporanea vedere nascere ed evolversi nuove opere artistiche d’esposizione.
L’idea nasce dal milanese Ottorino D’ambra, 34 anni, residente a Londra con la moglie Maria dal 2010.
Conseguita la laurea in scenografia, all’Accademia delle Belle Arti di Brera a Milano nel 2003, Ottorino ha cominciato a lavorare nel mondo della scenografia, riscuotendo da subito notevoli apprezzamenti nella sua città, ma, nonostante l’ambito artistico gli permetteva di sviluppare le sue doti in molteplici espressioni, ha cominciato a non sentire più soddisfazione per quello che faceva. L’indole creativa non lo ha messo al muro, ha iniziato a liberare il suo istinto artistico del disegno e ha cominciato a tatuare. I suoi disegni, sono stati da subito un’espressione creativa fuori dal coro, diventando una delle mani più richieste nella body-art della metropoli milanese. Ma Ottorino voleva di più, Ottorino disegnava, dipingeva e creava al di fuori di quello che era il suo lavoro. Milano cominciava così a diventare stretta e non consentiva libero sfogo a chi, come lui, voleva fare di più.
Il trasferimento a Londra è stata una scelta obbligata per non rimanere soffocato dall’ovvietà ed il suo percorso artistico, una volta a Londra, non si è fermato al background milanese, ma si è evoluto nella città inglese.
Tatuare a Londra gli ha permesso di testare nuove forme, sviluppando e intraprendendo sempre di più il tatuaggio come forma d’arte. La creatività di Ottorino, ha evoluto il suo percorso sperimentando una particolare tecnica di disegno, basata su una finissima incisione, intagliata su plexiglass o metallo e passata a colore su una pressa, realizzando così l’Etching, diventato ora un suo stile personale, che utilizza anche nella body art e che a Londra sta riscuotendo notevole ammirazione.
Oggi i lavori di Etching di Ottorino D’ambra, sono esposti alla Curious Duke Gallery di Londra.
Perché hai deciso di venire a Londra?
Perché mi ero stancato di Milano, era diventata una città statica, tanto divertimento, tanti locali, tanto lavoro se ci sai fare, ma poche opportunità se vuoi fare qualcosa di più. Lavorando nella scenografia, il lavoro era diventato troppo meccanico e poco creativo, è per questo che ho cominciato a tatuare a Milano, per avere uno sfogo più creativo, ma io volevo di più, volevo andare oltre, così ho voluto provare a giocarmi una nuova carta e ho deciso per Londra.
Quando sei arrivato, ti sei adattato accettando al volo il primo lavoro?
La mia fortuna è che come anni di esperienza milanese da tatuatore avevo un ottimo background, così ho cominciato subito a lavorare in uno studio poco dopo che sono arrivato, poi ne ho cambiati diversi.
Quindi conoscevi già bene la lingua inglese?
A quei tempi poco, ma sai la cosa buona di questo lavoro è che non serve conoscere bene la lingua all’inizio, l’importante è che fai dei bei lavori, devi saper disegnare e saperti distinguere. Fino a un certo punto ovviamente, poi devi anche capire cosa chiede il cliente.
Che differenze hai riscontrato tra il mercato italiano e quello londinese?
Ce ne sono tante. Qui a Londra sono più aperti dal punto di vista creativo, puoi proporre cose che non hanno mai visto e se lo fanno tatuare, mentre in Italia è molto più difficile, è rarissimo che qualcuno si faccia fare un disegno diverso, innovativo, che esce fuori dallo schema, seguono la moda, succede spesso che ti chiedono il tattoo che hanno visto al calciatore, al vip del momento e se provi a proporre un diversivo artistico la risposta è categoricamente no.
Sei venuto a Londra per continuare il tuo mestiere di scenografo o quello di tatuatore?
Entrambi. I primi tempi ho lavorato come scenografo per alcune agenzie di interior design, ma allo stesso tempo lavoravo anche in uno studio di tattoo. Poi a Londra le cose evolvono, ora quello che sto mandando avanti è una tecnica serigrafica di disegno molto fine, incisa su plexiglass o metallo, che poi stampo su inchiostro con una pressa che ho qui in studio, realizzando così l’opera da esposizione.
C’è uno stile che al momento va per la maggiore qui a Londra?
Io ho il mio, che segue uno stile che utilizzo per un nuovo progetto di stampe serigrafiche (quello di cui stavamo parlando prima), si chiama Etching e le richieste maggiori sono quelle iconografiche, quelle che riportano ad un simbolo, ad un elemento, ovviamente lavorato e reinventato da me.
La tua galleria, il tuo studio tatto, il tuo laboratorio artistico: White Elephant Studio. Dopo quanto tempo sei riuscito a realizzare questo progetto trivalente?
Poco meno di tre anni, ho aperto sei mesi fa.
Hai incontrato difficoltà nel riuscire ad aprire l’attività?
Sicuramente meno che in Italia. Forse l’unica difficoltà è stata nel riuscire a convincere il landlord a firmare il contratto d’affitto. Io e mia moglie abbiamo girato tanto, ne abbiamo visti parecchi, essendo il primo business non hai credenziali, non hai affidabilità.
Quali sono le procedure?
Si va al Council (il comune a cui fa riferimento l’attività in questione) ed il percorso è davvero snello. Fai la richiesta di apertura di attività della categoria e ti danno un plico di fogli da compilare, in cui compaiono tutti i certificati ed i permessi che si richiedono, igiene, antincendio, elettricità, etc.. In Italia devi girare un ufficio per ogni pratica, qui fai tutto nello stesso istante.
Dopo quanto tempo è arrivata la delibera?
Un paio di mesi.
Ora che hai la licenza britannica se volessi ingrandirti ed aprire in un’altra zona?
Questo non è possibile. Io ho la licenza per Hackney. Qui funziona così, puoi lavorare solo presso il Council a cui fa riferimento la licenza che hai ottenuto. Se volessi aprire – che ne so – a Camden Town, dovrei andare al Council di zona e richiedere una nuova licenza, e non posso nemmeno tatuare in quella zona se un amico mi chiedesse di andare a farlo nel suo studio se non ho la licenza di quel Council, nonostante la abbia nel mio.
Hai mai pensato di aprire anche in Italia un progetto trivalente come questo?
In Italia non sarebbe proprio possibile! Qui non ci sono tutte le regole che ci sono in Italia. Io tatuo in un open-space, nella stessa area c’è l’esposizione artistica, il laboratorio con la pressa per le incisioni e la camera oscura di mia moglie che è fotografa.
E le norme igieniche?
Quelle vengono mantenute nel massimo del rispetto, è solo la regola che cambia. In Italia dovresti avere locali separati, qui non è importante, le regole ci sono, ma viaggiano sotto un’altra ottica.
I controlli ci sono?
Si, sono severi e assurdamente fiscali. Ti faccio un esempio tra i molti. Pensa che per legge devi esporre il cartello per il divieto di fumare ed io ne ho comprato uno carino che mi piaceva dove era scritto “Thank you for not smoking” e mi hanno trovato da dire perché avrei dovuto appendere quello brutto di plastica con scritto “No Smoking” che ti impongono loro.
Pensi di tornare in Italia un giorno?
Non lo so, non ci ho ancora pensato. Il contratto per lo studio l’ho firmato per cinque anni, quindi per cinque anni non ci penso.
Quali soddisfazioni ti ha dato Londra?
Di fare tante cose che volevo fare e soprattutto in poco tempo. Tre anni, reinventarti ed aprire uno studio è davvero poco.
Quali particolari differenze trovi tra la vita londinese e quella milanese?
A Milano devi correre come un treno, devi lavorare, lavorare, lavorare, se vuoi vivere tranquillo sei tagliato fuori. A Londra lavoro molto più tranquillamente, nonostante sia una città caotica, questo è dovuto al fatto che non ci sono orari, non sei obbligato a correre se finisci tardi perché sennò il negozio chiude e non sai se hai da mangiare a casa, qui gli alimentari sono aperti 24h: esci dal lavoro a qualsiasi ora e ti fai la spesa.
A Londra poi una volta che ti stabilisci vivi la tua zona, non hai bisogno di muoverti per tutta la città per cercare un ristorante o un negozio, è tutto dentro la tua zona.
Cosa ti manca dell’Italia?
Il cibo e le vacanze. L’Italia è un posto fantastico per fare le vacanze. Se hai un paio di giorni o tre giorni puoi visitare diversi posti, qui devi prenderti un aereo ed andare da un’altra parte, anche se poi gli aeroporti sono facili da raggiungere ed i voli davvero economici.
Progetti per il futuro?
Dare il meglio di questo studio, in fondo ho appena aperto, le cose belle devono ancora venire, vorrei un giorno qualcosa di veramente grande, le idee non mancano, la voglia c’è e la città è quella adatta per farlo.
Cosa consigli ad un nostro lettore che vorrebbe seguire un percorso simile al tuo?
Di venire a Londra ma soprattutto di non farlo in Italia, qualsiasi cosa sia di non farla in Italia.
Cosa hai scoperto a Londra che non immaginavi di scoprire?
Che alla fine Londra è una città molto più vivibile di quello che si pensa, cambiano i ritmi, ma quando entri nel sistema ci stai bene davvero.
Avevo conosciuto Ottorino in Italia quindici anni fa circa, qualche volta mi ha portato in giro per le serate milanesi e sono sempre rimasto in buoni rapporti con lui, ricordavo i tatuaggi che faceva, i disegni e le opere che allestiva per il suo lavoro di scenografo. Ho sempre avuto un ottima opinione del suo operato e dentro me ho sempre pensato che se un giorno dovessi decidere di tatuarmi il primo a marchiarmi sarebbe stato proprio lui. Poi, abitare in città diverse e vari eventi del proprio percorso di vita, come solitamente accade, ci avevano fatto perdere i contatti. Sapevo che si era trasferito a Londra, non lo vedevo da circa otto anni e ho cercato di contattarlo per vedere come se la passava.
Quando è venuto ad aprirmi la porta dello studio, al 225 di Weel Street, era seduto in fondo con la moglie Maria, dietro a non so quale progetto, e dal fondo alla porta ci è voluto un tempo interminabile per un Martino che curiosava da fuori tutte le golosità artistiche che si intravedevano da fuori. Non capivo perché uno studio tatto dovesse essere così grosso e così attrezzato, come lo vedevo da fuori.
Mi ha mostrato per intero l’interno del White Elephant Studio, mi ha fatto vedere le sue opere, quelle esposte di altri, i disegni che stava progettando per nuovi tattoo in ordine, la pressa per le opere di Etching, la camera oscura voluta dalla moglie con la passione per la fotografia, il giardinetto esterno per i fumatori, la cucina. Ero davvero sbalordito e confuso. Mi aspettavo uno studio di tatuaggi con qualche personaggio locale dentro a fare baldoria e con cui avrei approfittato per farmi una birra, ma è stato tutto l’opposto. Ho scoperto uno studio dove l’arte ha colore, dove l’arte ha consistenza, presenza, dove l’arte ha un rumore, dove l’arte è tangibile. Ho ritrovato un Otto cresciuto, appagato dei risultati del suo impegno e con il pieno di gasolio nel motore. Ci siamo presi un caffè all’italiana, ci siamo seduti sulle poltroncine e mi ha raccontato dell’evoluzione che ha avuto il suo lavoro, le diverse sfaccettature ritrovate nella sua passione, ma soprattutto la sua nuova vita, fatta di una Londra dove tutto è possibile, di una Londra dove crederci, non mollare e credersi è essenziale.
Martino Serra