Italiani a Londra: Enrico presenta l’associazione “Open the Gate”

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La Londra che sogniamo, dalla penisola italiana, sentendo i racconti e leggendo i magazine, è fatta di arte, di musica, di eventi e notti indimenticabili. Spesso però, non abbiamo idea di cosa ci sia dietro a tutto questo luccichio. Molti pensano che una volta atterrati, troviamo la casa, un lavoro, e con un minimo di astuzia, che sappiamo di avere, si possano raggiungere i propri obbiettivi. Non è da escludere che a Londra impegno e fatica siano alla base di tutto, ma spesso, per molti, è narrativa d’oltremanica. E’ forse per questo, che il mio impegno in questa città, è massivo su questo genere di argomenti, per scoprire davvero qual è la realtà degli italiani a Londra, come la vivono, come l’hanno vissuta, cosa hanno raggiunto in merito alle loro aspettative. 

Questa settimana, ho voluto portarvi la storia di un giovane deejay italiano, approdato a Londra meno di 10 anni fa e che in questi ultimi cinque ha aperto -non senza difficoltà- una associazione culturale no-profit, la “Open The Gate”, riscontrando notevoli successi nella scena musicale afro e reggae nel territorio londinese.

L’associazione culturale Open The Gate è non solo diventata bandiera portante nella promozione di eventi, concerti, performance live, serate reggae, ma è fortemente presente e  attiva nel sociale. Da anni, ha aperto un progetto in Gambia,  “Pen and Paper”, che mira a non far mancare le scuole delle primarie necessità, cancelleria ed articoli di cartoleria. Per questo sulle strade londinesi l’associazione è spesso presente con iniziative, feste, eventi workshop e con l’occasione raccogliere un piccolo fondo, e promettere un futuro migliore a  molti bambini africani.

Questa è la storia di Open The Gate e di Enrico, 32 anni, originario di Napoli.

Enrico, dopo un periodo di volontariato in Africa, è arrivato a Londra, sette anni fa, con una laurea in Legge, con tante idee, iniziative e tanta voglia di fare, ma come tutti, non ha potuto realizzare i propri progetti subito al suo arrivo. Ha dovuto rimboccarsi le maniche sul campo e per qualche anno fare il barman, un lavoro che a lui non competeva, anche se poi, da semplice barman, è diventato un manager. Ma non era quella la sua ispirazione. Enrico, da sempre impegnato nel sociale, project manager di cooperazione e sviluppo per i Paesi in via di… sviluppo, voleva unire questa sua passione alla passione per la musica che da sempre porta dentro. A Londra ha trovato impiego in un bar da cui riusciva a tirare fuori lo stipendio e la costosa vita londinese, ma senza abbandonare il mondo della musica che voleva diffondere, il reggae e l’afro. Ha così trovato il modo di fare il deejay, riuscendo con questo sistema ad entrare nel giro che gli ha aperto una strada, quella che a lui interessava, per il suo progetto futuro.

 

Ciao Enrico, perché la scelta di venire a Londra sette anni fa?

A Napoli facevo tre, quattro cose diverse, deejay, volontariato, sono stato in Africa, ho anche una laurea in Legge, ma tutte mi avrebbero portato a lavorare gratis qualche anno, tutto funziona a tirocinio in Italia, così ho pensato che le opportunità che dava Londra erano molteplici e tra tutte le cose che facevo almeno di una di queste ne avrei trovato la strada.

 

Vista oggi, dopo sette anni, è la stessa Londra che vedevi quando eri in Italia?

Molto diversa. Quando ero al liceo, ricordo i ragazzi piu grandi che tornavano dalla stagione a Londra con un sacco di esperienze e qualche soldo in più di quelli con cui erano partiti, forse perché a quei tempi a Londra si potevano guadagnare. Penso che qualcosa sia cambiato qui a Londra, prima era più semplice inserirsi nell’ambiente e guadagnare, oggi sembra che tutto sembra sia fatto in modo da farti spendere quasi quanto guadagni.

 

Vivi o “sopravvivi” di eventi?

Lo faccio con passione, non ci guadagno molto, ma vivere facendo la cosa che ti da soddisfazione non ha prezzo, mi piace molto. Economicamente sopravvivo, ma in realtà ci vivo, questa è la mia vita.

 

Rifaresti in italia tutto quello che stai facendo qui?

Si, mi piacerebbe espandere il mio progetto, il chiodo fisso è quello di poterlo fare a Napoli o in altre grandi città d’Italia.

 

Avete degli sponsor per gli eventi?

No, è molto difficile qui a Londra avere uno sponsor, ci autofinanziamo,  lo sponsor può capitare per qualche evento particolare. Qui devi arrangiarti quasi sempre da te.

 

Quanto è sentito il mondo reggae a Londra?

Il reggae è una cultura, a Londra ci sono i veri cultori del reggae, quelli veri davvero, però fanno parte di una cultura che i giovani di oggi non hanno più, infatti sono per la maggior parte adulti, che hanno vissuto di reggae. A Londra, nella maggioranza è seguito tutto il genere dell’elettronica, la techno ed i suoi derivati e su 9 milioni di abitanti il reggae è un mercato minuscolo. La maggior parte delle nuove generazioni segue tutto quello che è moda e del reggae non ne sanno molto, magari uno che fa pop, nel pezzo che suona aggiunge un vago ricordo di base reggae e questo viene presentato come pezzo reggae. E la grande maggioranza delle nuove generazioni pensa che quello li sia il reggae.

 

Quando sei arrivato a Londra, ti sei subito dato da fare per seguire il progetto Open The Gate o lo vedevi come un sogno lontano? 

All’inizio ho dovuto, anzi, mi è toccato fare il barman, ma era per mantenermi in questa città. Gli italiani vengono per la maggior parte a Londra con un sogno artistico, chi per la pittura, chi per il design, chi per la musica, chi per la moda, insomma tutti quei tipi di lavoro artistici che in Italia sembrano una barzelletta e sembra impossibile realizzare, qui sembra che possano essere più realizzabili, ma per arrivarci bisogna trovare per forza un altro lavoro che ti possa dare da vivere qui. E spesso il sogno si allontana.

Io mi sono interessato da subito a mandare avanti il mio progetto, lavoravo in un bar e facendo il deejay nelle serate piano piano mi sono inserito nell’ambiente che mi interessava. La difficoltà qui è stata proprio inserirsi, perché dagli inglesi siamo visti solo come dei turisti che vengono a Londra come vacanza studio, vacanza lavoro e quindi, a loro, interessa solo che nella visione di turista che hanno di te i soldi ce li lasci, non che vieni a capitalizzarli.

 

Ma cosa pensano secondo te gli inglesi degli italiani?

La condanna dell’italiano, nella maggior parte dei casi, è che non sapendo l’inglese è immediatamente sottovalutato e spesso trattato male e considerato poco, perché non sai la loro lingua e quindi secondo loro sei un inferiore.

 

Cosa deve fare un italiano che sta pensando di passare un periodo a Londra?

Secondo me è giusto partire con una buona consapevolezza, oggi c’è la rete che raccoglie un sacco di informazioni in merito, io ho fatto così, vuoi Facebook ed altri social network che permettono di curiosare e contattare l’amico che è gia su, ma soprattutto i blog come il vostro, che danno una buona opportunità a chi si vuole informare o anche solo fare un idea leggendo le opinioni di chi è già sul posto.

 

Ma ad un nostro lettore che ha nel sangue il desiderio di organizzare eventi a Londra, cosa consigli?

Agli italiani sconsiglierei di venire a Londra, lo dico spesso ma non mi crede mai nessuno. In Italia si vive meglio, qui la vita è un sacrificio per gli italiani, magari non lo è per chi viene dal terzo mondo, che qui spesso può trovare un mondo diverso, ma per un italiano lasciare le proprie bellezze, con una qualità di vita superiore è un disastro emotivo. Piuttosto che venire a Londra a lavorare per l’Inghilterra e pagare le tasse per loro, consiglierei di scegliere magari una città italiana, dove ha facilità di mantenere i contatti con i propri artisti, e comunque poter provare a realizzare l’ambito sogno e fare la sua esperienza.

 

Cosa è più facile a Londra, per uno che organizza eventi, a differenza dell’Italia?

Qui è più facile avere un contatto immediato con gli artisti. Qui gli artisti ci vivono è la loro città, se non ci sono ci passano ed è  sempre semplice contattarli. Poi qui gli artisti li puoi pagare, i soldi girano, la gente viene nel locale, spende e chi organizza riesce a pagare per intero il cachet dell’artista, in Italia oltre ad avere le difficoltà di ospitarlo non c’è sempre la sicurezza di riuscire a pagarlo per intero. Gli artisti qui sono anche piu alla mano, in Italia sono più freddi e fanno i sostenuti.

 

Londra ripaga l’impegno a chi si adopera?

Non come ce lo si aspetta. Sai da barman ho lavorato duro e sono diventato manager, facendo quello solamente non avrei potuto che rimanere nel mondo dei bar, ma, non smettendo di fare anche il deejay mi sono trovato nel giro giusto e sono riuscito facilmente a realizzare l’apertura di Open the Gate, quindi ripaga, con fatica ma ripaga.

 

In 5 anni di attività, quanti eventi sei riuscito a realizzare?

Noi non organizziamo solo serate, ma anche eventi di piazza, workshop dove si può imparare a suonare lo djambè, o workshop di storytelling, con l’arte della narrativa imparare a fare teatro, poi,  spesso organizziamo eventi per tirare su i fondi per un nostro progetto in Zambia che si chiama Pen and Paper, che aiuta le scuole a non mancare di articoli di cancelleria e di cartoleria. Sarebbe difficile quantificarlo. Comunque tanti, tanti davvero.

 

In Italia, saresti riuscito comunque organizzare tutta questa serie di eventi?

Forse per un centro culturale sarebbe stato più semplice, qui devi affittare uno spazio e farne business, da noi, in Italia, non ci sono costi sotto il profilo culturale. Qui c’è un costo per ogni cosa, per il cibo e il suo banchetto, per qualsiasi bancarella, per fare musica, per il palco e non è nemmeno poco. In Italia le regioni hanno a disposizione diversi spazi del territorio a usufrutto di chi ha buoni progetti, buone intenzioni e buone ragioni.

 

Avete una base, un centro operativo, un luogo dove incontrarsi?

Avevamo un centro culturale ma era diventato un utopia mantenerlo, avevamo i costi che può avere un ristorante, qui non c’è la cultura del centro culturale come la vediamo noi, non potevo più permettermi di vendere le birre a 2 pound ero costretto a fare i prezzi dei bar di moda 4/5 pound, allora mi sono accorto che non aveva più senso il termine “centro culturale” e ho preferito chiudere.

 

Qual è l’obbiettivo di Open the Gate?

Open the gate si prefiggie di promuovere arti e culture africane, e derivate, tutto ciò che è frutto di cultura africana.

 

Il prossimo evento in programma a Londra?

Venerdi 25 ottobre, al Passing Clouds di Dalston sarà una serata memorabile, come al solito porteremo generi differenti per dare modo a chi partecipa di scoprire anche differenze musicali, magari si viene per un genere e se ne scopre un altro ad esempio c’è un professionista africano del Gambia, che ora è in tour in U.K.  Sura Susso, suona la kora, uno strumento bellissimo, poi ci sono i  Black Slate una famosissima e storica  band londinese  che torna sul palco dopo 20 anni e li sarà il momento 70/80 legendary reggae british, e saranno molti i cultori a venire per loro, poi i giovanissimi inglesi “In Search Of” un buon misto di reggae e rock e poi ci siamo portati la nuova scoperta italiana Manlio Calafrocampano, dal 2005 sulla scena romana del reggae, che si esibirà con uno spettacolo di showcase deejaystyle, cantando pezzi scritti da lui e sicuramente, questa, sarà una serata dove ci sarà tanta musica, tanto divertimento e sono queste le cose che danno soddisfazione.

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Enrico, lettore del nostro blog, mi ha contattato la settimana scorsa per conoscermi ed invitarmi una sera ad un suo evento, unirmi così alla “famiglia di Open The Gate” che lui ha fondato, ma a cui purtroppo ho tirato buca. Londra è così, non puoi mai decidere giorni prima cosa farai giorni dopo, tutto è molto volubile e gli impegni di lavoro, danno veramente poco spazio ai tuoi interessi. Mi aveva fatto davvero piacere essere contattato, in fin dei conti sono a Londra da poco più di un mese e scrivo per il blog da venti giorni, allora, incuriosito, ho cercato  notizie in rete riguardo Open The Gate e guardando il sito internet, ho capito che era una persona che si era data davvero da fare qui a Londra, per questo, non ho voluto perdere l’occasione di conoscerlo ed entrare anche io nella sua “Famiglia”, così un pomeriggio di tre giorni fa, sono andato a casa sua, dove regnano consolle da deejay, poster jamaicani e strumenti africani, ci siamo seduti sul suo divano sorseggiando limoncino e abbiamo fatto conoscenza.

Quel pomeriggio in casa c’era anche Manlio Calafrocampano, venticinquenne, cantante, autore e showcase deejaystyle che sta riscontrando un notevole successo nella scena italiana, chiamato a Londra da Open The Gate per presentare il suo ultimo album “Sogno” e la mia passione per i musicisti non ha resistito di togliermi qualche curiosità e fare qualche domanda anche a lui.

 

Manlio, cosa si prova a cantare i propri pezzi a Londra?

Un emozione grandissima, io ho collaborato con diversi sound system storici della scena come Villa Ada Posse o Radici nel Cemento e suonare a Londra è davvero una soddisfazione ed è un grande onore qui, per me, aprire la serata della storica band Black Slate, di cui fin da ragazzino solo vederne i vinili, che con orgoglio sfoggiavano i grandi deejay, era gioia pura. Non è detto, ma se riesco li porto a suonare a Roma.

 

Stai pensando se trasferirti a Londra anche tu?

Io sono fiero delle mie origini campano-calabresi, ho vissuto molti anni a Roma ma sono affezionato alla mia terra, per ora non ho intenzione di trasferirmi qui, poi ho un po di date in Italia a novembre, però ne approfitto per farmi un idea..non è detto che col tempo..

 

Qual è il groove per partire in una serata come quella di venerdi qui a Londra?

Esprimere se stessi al 100% ed esternare i propri concetti con la stessa passione e cuore come solo noi italiani siamo capaci di fare. Mando un saluto di cuore a chi segue e supporta la Sound Unity Family, Open The Gate, cercatemi nei canali Youtube, troverete il meglio di me, sperando di incontrarvi tutti un giorno, faccio un ringraziamento a tutti i lettori del blog italianilondra.net.

 

E sono uscito da casa di Enrico soddisfatto. Soddisfatto di aver conosciuto una persona che lotta nella fitta giungla dell’arte e della musica londinese con un progetto benefico, soddisfatto di aver conosciuto Manlio e consapevole di respirare un’aria, fatta del respiro della gente che ci crede e che non molla. Sono le persone che mi sta regalando Londra, quelle che speravo di conoscere e che con impegno e costanza, voglio fare conoscere anche a voi.

 

Martino Serra


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